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31 luglio – Sant’Ignazio di Loyola

Pubblicato da il 28 Luglio 2013

Origini familiari

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Don Inigo Lopez, il futuro Ignazio di Loyola, nasce nell’omonima cittadina dei Paesi Baschi spagnoli intorno al 1491. E’ l’ultimo nato di una numerosa famiglia di ben tredici figli.

Il padre è stato soldato al servizio di Enrico IV, dei Re cattolici e di Giovanni II. La madre è figlia del dottor Don Martin Garcia de Licona, figura di alto lignaggio, cortigiano dei re di Castiglia e consigliere dei Re cattolici.

Svezzato da una nutrice vicino Loyola, cresce sotto le attenzioni del fratello Don Martin e della cognata Donna Magdalena. Nonostante l’educazione non si applica troppo agli studi preferendo divertimenti quali il ballo e il canto. Intorno al 1506 viene inviato dal fratello ad Arévalo presso il ministro delle finanze del regno, il potente Juan Velazquez, la cui sposa, donna Maria de Velasco, è parente della defunta madre.

Egli rimane in casa del Velazquez per undici anni trascorrendo una vita agiata dedita ai banchetti, alla musica, alla lettura di romanzi cavallereschi e alla composizione poetica.

Con la morte del re Fernando la situazione della famiglia Velazquez precipita: Juan Velazquez, caduto in sfavore e rattristato per la morte del primogenito Gutierre, si ritira a Madrid dove muore qualche mese dopo, mentre la moglie Maria passa al servizio dell’ormai reclusa Giovanna la Pazza, madre di Carlo e della figlia di questa, Caterina.

A ventisei anni Inigo raggiunge il palazzo di don Antonio Manrique de Lara, duca di Najera e viceré di Navarra, per passare al suo servizio.

Don Manrique ha una missione speciale per il fedele Inigo: pacificare la provincia di Guipúzcoa, missione che egli assolve nel migliore dei modi.

Altro e ben più arduo incarico attende Inigo: difendere la fortezza di Pamplona attaccata da Enrico d’Albret, pretendente al trono di Navarra, appoggiato dal re francese Francesco I. Inigo e i suoi rimasero a difendere l’ultimo baluardo di Pamplona rifiutando le condizioni per la loro resa. Durante i pesanti bombardamenti un tiro colpisce in pieno la gamba destra di Inigo rompendola in più parti.

I francesi, e particolarmente il generale nemico, che ha già precedentemente manifestato stima nei confronti dell’avversario, gli risparmia la vita.

Dopo quindici giorni di degenza a Pamplona viene trasportato in barella alla casa paterna. Il suo stato è grave e più volte si teme per la sua vita. Dopo dolorosissime operazioni e atroci sofferenze egli riesce a ristabilirsi pur non potendosi reggere bene sulla gamba, a causa della quale resta claudicante per il resto della vita. In questi giorni, costretto a un’esasperante immobilità, rimane a letto leggendo. Gli vengono dati la Vita Christi del certosino Landolfo di Sassonia e il Flos sanctorum, le celebri vite dei santi composte dal domenicano Jacopo da Varazze. “Quando pensava alle cose del mondo, provava molto piacere, ma quando stanco le lasciava si trovava vuoto e scontento. Quando pensava di andare a Gerusalemme scalzo, di mangiare solo erbe e di fare tutte le altre cose dure che vedeva che avevano fatto i santi, non solo si consolava quando vi stava pensando ma anche dopo aver lasciato questi pensieri restava contento e allegro”.

In lui qualcosa sta mutando. Comincia il suo processo di conversione religiosa. Pian piano spende il tempo nella preghiera, nella lettura di testi sacri, nella meditazione. Comincia a trascrivere alcuni appunti che in seguito avrebbero dato vita ai suoi esercizi. Sogna di partire pellegrino per Gerusalemme e una volta ristabilito, decide di visitare i santuari mariani della Spagna, con una particolare sosta presso il celebre Monastero benedettino di Montserrat. Qui, il 25 marzo 1522, appende i suoi paramenti militari davanti a un’immagine della Vergine Maria in una vera e propria veglia militare dedicata alla Madonna. Entra nel monastero di Manresa, in Catalogna, dove pratica un severissimo ascetismo. La Vergine diviene l’oggetto della sua devozione cavalleresca: l’immaginario militare giocherà sempre una parte importante nella sua vita e nelle sue contemplazioni religiose.

La fondazione della Compagnia di Gesù

Nel 1528 si iscrive all’Università di Parigi dove rimane sette anni ampliando la sua cultura letteraria e teologica e cercando di interessare gli altri studenti agli “Esercizi spirituali”. Muta il suo nome in Ignatius, probabilmente per la sua speciale devozione verso sant’Ignazio di Antiochia.

Il 15 agosto del 1534, Ignazio e altri sei studenti si incontrano a Montmartre, vicino Parigi, legandosi reciprocamente con un voto di povertà e castità e fondando la Compagnia di Gesù, allo scopo di eseguire lavoro missionario e di ospitalità a Gerusalemme o andare incondizionatamente in qualsiasi luogo il Papa avesse ordinato loro.

Nel 1537 essi si recano in Italia in cerca dell’approvazione papale per il loro ordine religioso. Papa Paolo III li loda e consente loro di essere ordinati sacerdoti.

Con Faber e Lainez, Ignazio si dirige nuovamente a Roma nell’ottobre del 1538, per far approvare dal Papa la costituzione del nuovo ordine. Una congregazione di cardinali si dimostra favorevole al testo preparato da Ignazio e papa Paolo III conferma l’ordine ma limita il numero dei suoi membri a sessanta. Limitazione rimossa con una successiva bolla.

Ignazio viene scelto come primo preposito generale della Compagnia di Gesù. Invia i suoi compagni come missionari in giro per tutto il mondo per creare scuole, istituti, collegi e seminari.

Nel 1548 vengono stampati per la prima volta gli Esercizi spirituali, per i quali viene condotto davanti al tribunale dell’Inquisizione, per poi essere rilasciato.

Sempre nel 1548, Ignazio fonda a Messina il primo Collegio dei Gesuiti al mondo, il famoso Primum ac Prototypum Collegium ovvero Messanense Collegium Prototypum Societatis.

Ignazio scrive le Costituzioni gesuite, adottate nel 1554, che creano un’organizzazione monarchica e spingono per un’abnegazione e un’obbedienza assoluta al Papa e ai superiori (perinde ac cadaver, “[lasciati guidare] come un cadavere” scrive Ignazio). La regola di Ignazio diventa il motto non ufficiale dei gesuiti: Ad Maiorem Dei Gloriam.

Muore a Roma nel 1556 e viene canonizzato il 12 marzo 1622. Il suo corpo si trova in un’urna di bronzo dorato nella Cappella di Sant’Ignazio della Chiesa del Gesù in Roma. La festa religiosa viene celebrata il 31 luglio, giorno della sua morte.

Gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola

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Gli Esercizi spirituali non sono «un libro scritto per essere letto» – scrive Federico Rossi di Marignano nella sua biografia di Carlo Borromeo, ma appartengono a quel genere di cose che si possono capire solo sperimentandole. Per questo non si possono prendere gli Esercizi a casa propria. Non è infatti possibile ritrovare se stessi senza allontanarsi da tutto e da tutti per un adeguato periodo di tempo.

Nei primi giorni di distacco gli Esercizi invitano l’esercitante a cercare di capire per quale fine abbia ricevuto esistenza e vita dal Creatore, in altri termini che cosa Dio si aspetta ch’egli faccia di buono nella vita. Una volta presa coscienza del perché della sua nascita, all’esercitante verrà spontaneo mettersi «avanti agli occhi stesa e spiegata la sua vita […] scorrendola tutta pensatamente». Scoprirà allora tutte le deviazioni che, aderendo consapevolmente o inconsapevolmente ai moti ingannevoli dell’anima, egli stesso avrà fatto subire anno dopo anno al proprio destino.

A quel punto dovrà superare l’ostacolo più difficile tra quelli che una persona è chiamata a superare durante la vita: cambiare, mutare, rinnovarsi. Nessun uomo tuttavia può riuscire a conquistare la pace interiore e affrontare il difficile cammino della vita inventandosi ogni cosa da solo. Ogni uomo solitamente progredisce o regredisce imitando l’esempio positivo o negativo di altri uomini. In un solo uomo, tuttavia – secondo Ignazio di Loyola – la natura umana ha trovato la sua espressione più alta: nell’uomo-Dio, Gesù di Nazareth. È quindi Gesù che, conclusivamente, Ignazio propone come esempio da imitare fino a poter dire con san Paolo «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me».

 

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