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Il Beato Giacomo Villa

Pubblicato da il 18 Luglio 2013

La scoperta di antichi documenti  cambia la storia ed è occasione per riconciliare due comunità.

 1-Volta

Intorno al 1255 a Castel della Pieve della Diocesi di Chiusi e giurisdizione di Perugia, Mostiola, moglie di Antonio Villa, rimane in stato interessante e come tutte le madri del mondo viene presa da apprensione per un sogno ricorrente in cui partoriva un bambino che portava sulle spalle una chiesa diroccata.

Per saperne il significato si rivolge ad un eremita mendicante che in quei giorni chiedeva l’elemosina proprio a Castel della Pieve. Questi interpreta il sogno in chiave mistica (e non poteva essere diversamente) e le dice che partorirà un figlio      che avrebbe ricostruito una chiesa e sarebbe stato un uomo di grande santità.

Mostiola si sente rassicurata da questa interpretazione e quindi si rasserena. Giunta però al parto, la sera prima, sogna un giglio rosso e pensandolo un cattivo presagio viene presa di nuovo da una profonda malinconia.

Quando finalmente le nasce il figlio calma le sue paure e gli mette il nome di Giacomo.

Alla nascita di Giacomo è Vescovo della Diocesi di Chiusi Pietro III De Peridio (1248-1260), poi diviene Vescovo Raynerius II (1260-1272) che è una persona mite e non compie nessun atto notevole, infine viene nominato Pietro IV (1273-1299) che da arciprete della cattedrale viene promosso Vescovo di Chiusi da papa Gregorio X, il 17 aprile 1273.

Anch’egli, Pietro IV, durante il suo lungo episcopato, non ha contrasti con nessuno, nemmeno con i rissosi monaci amiatini e muore nel 1299. Egli è quindi il vescovo che, di fatto, governa la diocesi di Chiusi per quasi tutta la vita di Giacomo.

Quando il bambino raggiunge i dodici anni, viene mandato a Siena per studiare perché in quella città la nascente scuola è una istituzione prestigiosa e in costante crescita.  La scuola che frequenta è quella di Grammatica. Egli, durante i lunghi anni che risiede a Siena, soggiorna presso l’Ospitale di Santa Maria della Scala dove operano, oltre ai Disciplinati della Madonna sotto le Volte, anche i Frati Laici e gli Oblati.

Ovviamente, data la sua condizione di semplice studente, partecipa, come “volontario”, alle azioni di beneficenza verso i poveri, praticate dagli Oblati.

Dato che la scuola ha un regolare e costoso percorso formativo di almeno 12 anni, Giacomo si laurea in Grammatica a circa venticinque anni. Tornato a Castel della Pieve, ricordandosi della miseria e delle sofferenze che ha toccato con mano durante il suo lungo soggiorno a Siena, come accade spesso in quegli anni, fa la scelta di dedicarsi agli umili e sofferenti e quindi, seguendo i pensieri che si sviluppano in quel periodo sceglie la completa povertà. Egli riceve dai genitori la sua parte di eredità e vende tutti i suoi beni. Il ricavato parte lo dà direttamente ai poveri e parte lo usa per rilevare e restaurare la chiesetta di San Giovanni Battista e l’adiacente Hospitale dei Santi Filippo e Giacomo, abbandonati e “semi-diruti” posti fuori porta del Vecciano di Castel della Pieve.

Durante le operazioni di ricognizione dei beni che si appresta a restaurare per dedicarli ai poveri, trova alcuni antichi documenti. Dopo averli esaminati attentamente si accorge che alcune proprietà dell’ospedale erano state usurpate da un potente signore di Chiusi. Essendo divenuto procuratore della chiesa e dell’ospedale si reca quindi, presso questo signore con le carte ritrovate e tenta di fargli restituire i beni bonariamente. Ovviamente il Signore, Manenti Rimbottuccio, fa orecchi da mercante anche perché erano molti anni che la sua famiglia possedeva quei beni e soprattutto perché ne ha bisogno in quel periodo in cui egli è stato spogliato di tutto dalla Comunità di Chianciano e da Orvieto e gli sono rimaste solo le proprietà che ha nel Chiugi.

Giacomo non si arrende e nella sua qualità di procuratore si rivolge al Tribunale della Curia Romana che, è notorio, non ama molto la famiglia dei Manenti in quanto, parte della stessa famiglia, è nemica di Orvieto. In tale controversia giudiziaria che dura alcuni anni risulta finalmente vincente e quindi pretende la restituzione in nome dei poveri e dei malati.

1-1-BeatoGiacomo-004A causa di questo, Giacomo, nel 1286, viene ucciso in un agguato dai sicari inviati da Rimbottuccio Manenti presso i Vocaboli di Moiano e di Maranzano, in località Palazzo (dove si trova un molino) e gettato nel fossato Nochie adiacente, dove viene ricoperto alla bene e meglio con delle spine.

Non sappiamo per quale motivo Giacomo fosse da quelle parti, ma, visto che in quel luogo c’è un mulino e vicino ci sono terreni di proprietà dell’ospedale del Vecciano si può immaginare che vi sia andato nell’interesse dei poveri che accudiva, comunque il potente signore di Chiusi, evidentemente, lo sapeva.

Quando, dopo un po’ di tempo il suo corpo viene ritrovato, i suoi resti vengono fatti seppellire dal Vescovo di Chiusi Pietro IV nelle vicinanze del luogo del ritrovamento e dato che era nota la sua bontà sopra la sua tomba viene edificata una chiesetta o oratorio in sua memoria. Ovviamente, essendo Giacomo, considerato da tutti un buon uomo amico dei poveri viene immediatamente considerato un santo.

Nel 1304 Benedetto XI, fuggendo da Roma con la sua corte a causa delle minacce ricevute da Guglielmo di Nogaret e Sciarra Colonna, giunto a Castel della Pieve, fu ospitato nel convento dei Servi di Maria e lì viene a conoscenza della tragica storia di Giacomo Villa che è morto per difendere i diritti dei poveri e dei malati e quindi lo definisce “Elemosinario”.

Nel 1313 muore il Vescovo di Chiusi Matteo I Medici di Orvieto successore di Pietro IV dal 1299. Dopo la sua morte la sede vescovile resta vacante lungamente, perché i canonici per molto tempo questionano tra loro sulla scelta del successore.

Alcuni hanno eletto il monaco vallombrosano Bonetto, priore del monastero di san Pietro di Petrorio, ed altri il canonico, loro collega, Rimbaldo. La controversia finisce quando i due eletti rinunziano spontaneamente alla nomina (molto probabilmente su pressione del Papa Giovanni XXII); ed allora viene promosso al vescovato di questa chiesa, il dì 12 gennaio 1317, il romano Fr. Matteo II Orsini, francescano, che è vescovo di Imola.

Negli anni della vacatio che vanno dal 1313 al 1317 i religiosi di Castel della Pieve (molto probabilmente i Serviti visto che i resti sono stati rivestiti con il loro abito, mentre il cingolo francescano e la berretta degli oblati sono stati aggiunti durante la ricognizione del corpo avvenuta nel 1478), senza, ovviamente il permesso del vicario capitolare “Angelus rector Ecclesiæ S. Faustæ”, che molto probabilmente, come spesso accadeva, nemmeno è mai stato presente nella Diocesi, disseppelliscono il corpo di Giacomo dalla Chiesetta di San Jacopo de Palatijs e lo portano nella chiesetta dell’ospedale fuori porta del Vecciano di Castel della Pieve.

A causa di questa azione e visto il rifiuto del Castello di riportare Giacomo in località Palazzo, il nuovo vescovo Matteo II Orsini, nel 1319, lancia l’interdetto contro Castel della Pieve. La chiesetta resta per questo abbandonata e diviene negli anni “diruta”.

I magistrati di Castel della Pieve, perciò, per ritorsione, accusano il Vescovo di essere responsabile del non riconoscimento della santità di Giacomo a causa dell’interdetto lanciato contro il Castello.

1-DSC_8601-001 Da qui le successive accuse di essere il mandante dell’omicidio, accusando però, per ovvi motivi di ordine religioso il vescovo regnante nel 1304 e non quello regnante nel 1319. Infatti Matteo I è un domenicano e quindi può essere accusato essendo appartenente ad un Ordine non in sintonia con i francescani mentre Matteo II, che ha lanciato l’interdetto contro Castel della Pieve, è un francescano e quindi non può essere accusato, da qui lo scambio.

Lo scontro tra Castel della Pieve e la Diocesi di Chiusi avviene, quindi, con Matteo II Orsini e non con Matteo I de’ Medici. La confusione, dopo qualche secolo, tra i due Mattei è evidente.

Per portare un esempio lo stesso Fiorenzo Canuti nel 1952 (quindi quasi cinquecentocinquanta anni dopo gli avvenimenti narrati), in una nota alla trascrizione della leggenda scritta dai Serviti scrive il seguente errore:

«“pigliando la strada verso Chiuscio per dirlo al Podestà, al Vescovo (1) …

(1) Era vescovo di Chiusi nel 1304 Matteo Orsini romano, dei Predicatori, traslocato a Chiusi da Imola», infatti, nel 1304 è, invece, Vescovo di Chiusi Matteo I Medici di Orvieto.

In conclusione la storia del Beato Giacomo Villa dimostra chiaramente che i Vescovi di Chiusi nulla hanno a che vedere con la sua morte che tale accusa deriva dalla rivalsa contro chi aveva scomunicato la città di Castel della Pieve e dimostra altresì che egli è vissuto da sant’uomo in un epoca terribile, carica di violenza, e che ha sofferto il martirio per aver cercato il trionfo della giustizia in favore dei poveri.

Finisco riportando un fatto che si può considerare un altro vero e proprio miracolo quello fatto dal Beato Giacomo il 15 Gennaio 2013, durante i suoi festeggiamenti, a Città della Pieve, in cui si sono ritrovati insieme nella chiesetta che porta il suo nome, nonostante il loro acerbo antagonismo, le comunità di Chiusi e di Città della Pieve, la Misericordia di Chiusi e le cinque Misericordie e i tre Terzieri pievesi e quindi credo che da questo fatto straordinario possiamo e dobbiamo ripartire.

Stefano Bistarini

 

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