L’incontro con il giornalista di La Repubblica, a Città della Pieve in occasione della presentazione del suo docufilm “Silencio” realizzato in la collaborazione con Massimo Cappello, mi ha spinto ad informarmi su cosa succede in Messico. Dalla documentazione sul lavoro di Bolzoni scopro che i giornalisti uccisi in Messico nel nuovo secolo sono più di quelli uccisi in Iraq, in Vietnam, durante la seconda guerra mondiale. Il titolo già comunica egregiamente il tema: il “silenzio” imposto anche e soprattutto con la violenza, con la morte di chi cerca di parlare. Un silenzio ordinato dai narcos messicani, dai mafiosi italiani. Silencio, come quello che attanaglia la condizione di migliaia di messicani. Silencio, come quello che copre le urla strazianti dei tanti trucidati nel Paese.
Un documentario terribilmente reale, che descrive la cappa di controllo imposta dai narcos sui cittadini, sull’informazione. Qui comanda un’organizzazione criminale estremamente violenta dedita soprattutto al traffico di stupefacenti, con legami anche con la nostrana ‘ndrangheta. In Messico ci sono migliaia di italiani, alcuni onesti in cerca di un lavoro, altri latitanti in cerca di un nascondiglio. E’ in queste condizioni che la nostra organizzazione mafiosa più potente stringe relazioni con i narcos, in un sodalizio tra il Messico e la Calabria ben narrato da Bolzoni nel suo docufilm, con il quale è riuscito a mettere in relazione due realtà molto distanti geograficamente ma vicini per mentalità criminale. Come in Messico anche in Calabria sono la paura, l’impunità a nutrire il silenzio. Il problema spesso non è sapere la verità ma è sapere cosa fare una volta scoperta la verità. Attilio Bolzoni e Massimo Cappello sono volati in Messico per documentare la strage silenziosa di professionisti scomodi per il loro vizio di raccontare la verità. In Messico i giornalisti che cercano di raccontare la verità, decine ogni anno, vengono rapiti e fatti sparire, seviziati e torturati ed i loro corpi lasciati nel deserto come cibo per gli sciacalli. Come loro anche i tanti giornalisti italiani uccisi dalla mafia o resi vittime di intimidazioni e minacce. A uccidere in Messico è soprattutto il potere: trafficanti e governatori fanno affari insieme, pubblici ufficiali assassini, militari corrotti, stragi di mafia e stragi di Stato, tanto per citarne una i 43 ragazzi, colpevoli di voler migliorare la loro società, rapiti, uccisi e bruciati dai mafiosi con la complicità della polizia, su mandato politico. Protagonisti di questo docufilm sono soprattutto giornalisti messicani vivi e morti, ma anche decine di cronisti, di giornalisti e pure di preti calabresi intimiditi dai clan che resistono ai boss o che non resistono. Il lavoro di Bolzoni e Cappello fa riflettere su realtà estremamente pericolose dei nostri tempi dove i giornalisti non possono essere lasciati a loro stessi. In Messico il giornalismo è l’unico mezzo per cercare la verità, per raccontarla ai cittadini, per farla conoscere all’estero. Ma alla gente dei giornalisti ammazzati non importa, nessuno li reclama, le indagini portano alla stessa identica soluzione: sesso e corna. Dopo la visione del ducufilm le parole di Attilio Bolzoni ai presenti hanno ulteriormente confermato, con estrema chiarezza la connivenza tra mafia e potere, una realtà non sempre conosciuta ai più ma soprattutto una storia, una realtà che spesso non si vuol vedere, che si preferisce ignorare. È bene ricordare che un cittadino non consapevole è un cittadino complice. Ad uccidere sono gli apparati di Stato, il problema è sempre il potere, le classi dirigenti non le mafie. L’evento organizzato dal Presidio del Volontariato “Insieme si può” operante all’interno dell’Istituto Superiore di Città della Pieve con il contributo di Istituzioni, Enti ed Associazioni non poteva non iniziare con la lettura dei nomi dei giornalisti italiani uccisi dalle mafie e dal terrorismo in Italia ed all’estero e con la denuncia della condizione dei giornalisti messicani.
Anisa Meca