In occasione della Giornata alla Memoria è doveroso ricordare l’incontro emozionante con Piero Terracina.
“Non vi racconterò dell’inferno narrato da Dante e nemmeno quello delle religioni, io vi parlerò del vero inferno, quello di Auschwitz-Birkenau, io ci sono stato ed ho anche avuto la fortuna di essere uno dei pochi ad uscirne vivo e se vorrete ascoltarmi ora vi racconterò la mia storia e quella di tanti altri deportati come me”. Esordisce così Piero Terracina il 28/09/2016 al Teatro degli Avvaloranti di Città Della Pieve dove ha tenuto un incontro pubblico molto speciale; lui, uno degli ultimi sopravvissuti della seconda guerra mondiale è venuto a parlare del suo inferno patito ad Auschwitz-Birkenau.
Manifesta subito il piacere per i molti giovani presenti in quanto li reputa depositari della memoria. Dichiara la propria sofferenza ogni volta che è chiamato a testimoniare: più di 70 anni fa la sua famiglia fu sterminata.
Comincia con il ricordare la sua vita prima della leggi razziali; fa un breve passaggio sul Manifesto della razza per dire ai giovani che esiste una sola razza, quella umana.
Ricorda come gli ebrei, presenti in Italia da 22 secoli, furono costretti a fare i conti con leggi inumane.
Nel 1938 avrebbe dovuto iniziare la classe quinta elementare, sempre con la stessa maestra dalla prima, maestra che gli aveva voluto molto bene, eppure, all’inizio di quell’anno scolastico, senza nessuna emozione, gli disse che le nuove leggi non gli permettevano di stare a scuola. Da quel momento frequenterà, come tutti gli altri ragazzi ebrei, una scuola ebraica.
Con le leggi razziali gli ebrei avevano perso anche il lavoro ed era difficile andare avanti.
Ricorda le tante promesse in cambio di soldi o preziosi, promesse mai mantenute. Come quando dopo l’occupazione di Roma da parte dei tedeschi, Kappler chiese il versamento di 50 kg. d’oro per ogni famiglia ebraica in sole 36 ore, pena la deportazione dei capi famiglia se alla scadenza l’oro non fosse stato consegnato. Oro nelle famiglie ebraiche non ce n’era e fu trovato grazie all’aiuto di tanti non ebrei. Ricorda una signora che vendeva le caldarroste vicino alla sinagoga la quale, vedendo un certo trambusto, chiese cosa stesse succedendo, le risposero che si raccoglieva l’oro per gli ebrei, sentito questo si avvicinò alla sinagoga e consegnò i suoi orecchini, l’unica cosa che aveva.
Poco dopo, il 16 ottobre 1943, il rastrellamento del ghetto di Roma, vennero prelevate 1259 persone di cui 689 donne, 363 uomini e 207 tra bambini e bambine, 237 furono rilasciate perché di religione cattolica, 1022 gli ebrei deportati a cui si aggiunse un neonato, infatti il giorno dopo un’ebrea, Marcella Perugia, dette alla luce un bimbo.
Il 18 ottobre dalla stazione Tiburtina furono fatti partire per ignota destinazione.
Ad Auschwitz, il 23 ottobre 1943, solo 154 uomini e 47 donne vennero mandati al lavoro, i restanti furono subito gasati e bruciati.
Con la sua famiglia riuscì a scampare al primo rastrellamento grazie all’aiuto di un carissimo amico, di cui poi non ha saputo più nulla, che, a rischio della propria vita, riuscì a nasconderli. In quel periodo, aveva 13 – 14 anni, ricorda che lui e i suoi fratelli ogni mattina invece di andare a scuola andavano in piazza a racimolare qualche soldo e qualcosa da mangiare. Mancava tutto, c’era fame, si arrivò in questo modo al 7 aprile 1944, giorno della Pasqua ebraica; quella sera bussarono alla porta, erano le SS accompagnate da un italiano. Concedevano loro solo 20 minuti di tempo per raccogliere le proprie cose, espressamente oggetti di valore e qualche indumento. Furono portati a Regina Coeli, ricorda quanto traumatici fossero stati i rituali di immatricolazione, ma soprattutto ha ancora in mente le raccomandazioni di suo padre: “ragazzi possono accadere cose terribili, qualsiasi cosa accada siate uomini, non perdete la dignità”. Difficile non perdere la dignità quando si ha fame, quando si è disperati, il commento che si lascia andare a seguito dell’esperienza vissuta. Del carcere ricorda l’umanità da parte degli altri detenuti. Dopo qualche giorno furono deportati. Il viaggio verso Birkenau fu lungo e difficile, privazioni di ogni genere, morte, desolazione ma anche esempi di solidarietà tra deportati; si presentarono pure occasioni per scappare ma nessuno tentò di rendere concrete le opportunità in quanto si sapeva che per ogni fuggitivo sarebbero stati uccisi 10 ebrei. Il 1° maggio a Fossoli, confessa Terracina, imparai come si muore: una SS urla in tedesco, nessuno comprende, si avvicina ad un prigioniero e gli spara alla testa, non si capisce il perché, il malcapitato portava un berretto in testa e forse la richiesta del tedesco riguardava proprio il copricapo, in particolare l’ordine di toglierlo. Il treno si fermava alle stazioni, benché ci fosse molta gente, nessuno sentì le loro richieste di acqua, nessuno fece nulla. Il 23 maggio l’arrivo a Birkenau, le SS, con cani e bastoni, gridavano in tedesco, nessuno capiva nulla tranne il linguaggio universale, quello del bastone che colpiva i più anziani, i più deboli. Vennero formate due file: uomini e donne, che di nuovo selezionati venivano inviati a destra o a sinistra. Sulla fila di destra, sia per gli uomini sia per le donne, finivano i bambini piccoli, i neonati con le mamme, gli anziani, i malati, era la fila dello sterminio immediato. Da questo momento ricorda di non aver visto più nessuno della sua famiglia. Rammenta che in circa settanta furono portati alla sauna, una baracca dove nudi come vermi, vennero rasati e disinfettati; un italiano, che era lì da prima, gli chiese l’età, rispose 15 anni; gli raccomandò di mentire, di dire che aveva 18 anni, era molto importante. La sua scheda riporta il cognome errato Piero Terracione, anni 18, numero A5506, lo stesso tatuato al braccio che bisognava imparare a memoria in tedesco e non era facile, pena smisurate crudeltà. Subito dopo entrarono nel lager e furono messi immediatamente al lavoro, la costruzione di canali per far defluire l’acqua fino al fiume. Era estate ed era caldo, per avere l’acqua infilavano una cannuccia nel muro del canale da dove, goccia a goccia, cadeva in una ciotola insieme alla terra. La sveglia era alle 4 e 30, alle latrine era un’impresa, il sapone si cambiava con un pezzo di pane, già scarso, non c’era nulla per asciugarsi ed in inverno con 20° sotto zero era un problema. Si usciva al passo con la banda, chi non ce la faceva veniva ucciso. Chi moriva al lavoro doveva essere portato all’appello. Eravamo considerati “pezzi” non uomini. La domanda che ci ponevamo in continuazione era se saremmo arrivati a sera. Al lager, ricorda, nascevano forti amicizie, nomina quella con Sami Modiano, un altro sopravvissuto ancora vivente. Al campo anche la solidarietà tra deportati faceva la differenza, ricorda che un giorno la suola di una sua scarpa rimase attaccata al fango, restò quindi senza una calzatura, un altro prigioniero, Mario Spagnoletto, gli procurò un altro paio di scarpe. Il 27 gennaio del 1945 gli ultimi prigionieri furono liberati. Pesava 38 chili, vedevano i propri corpi rispecchiati negli altri. Solo 15 uomini e una donna sono riusciti a tornare, alla fine, a casa. La donna, Settimia Spizzichino, ha cominciato da subito a gridare al mondo le nefandezze che erano stati costretti a subire, dello scempio che uomini avevano compiuto nei confronti di altri uomini. Lui, come altri, ha cominciato a parlare molto dopo, nessuno però, confessa, è mai riuscito a raccontare tutto. Sono stati gli amici che lo hanno aiutato a vivere, una volta stati all’inferno e non si può più essere una persona normale.
Non è possibile giustificare; una spiegazione, una giustificazione non c’è. Coloro che hanno fatto ciò che hanno fatto non erano pazzi, se li dichiarassimo tali li giustificheremmo. Si accusano i tedeschi, ma con i tedeschi c’erano anche gli italiani e comunque erano conniventi.
Ricorda soprattutto ai giovani quanto già affermato da Primo Levi: “comprendere è impossibile ricordare è necessario” e continua “oggi io mi affido soprattutto a voi giovani perché la memoria è la cosa più importante di questo mondo per evitare che fenomeni come questo possano ripetersi in futuro! Per favore ragazzi non fate prevalere il silenzio e l’indifferenza come purtroppo oggigiorno si sta facendo, di nuovo, con il problema degli immigrati, perché è proprio questo che uccide le persone”.
Tutti i testimoni mettono in guardia sul fatto che se l’uomo lo ha fatto una volta lo può rifare anche un’altra volta. Il messaggio che non ci deve mai abbandonare è non dimenticare, perché la memoria è una sentinella che fa stare sempre attenti, perché sai che nell’uomo ci sono grandezze infinite ma c’è anche il male che può sempre venire fuori in ogni momento, se è successo una volta bisogna vegliare attentamente perché non succeda altre volte.
Palpabile l’emozione creatasi all’interno del teatro, emozione di cui i giovani hanno sempre più bisogno.
Grazie Piero per quello che continui a fare affinché la memoria non si spenga, perché si rifletta sui mali della storia, della vita. Eleonora Sportellini
I Giovani e Piero Terracina
Impressioni raccolte a caldo
Eleonora Sportellini: di fronte ad un tale testimone ho provato una grande emozione, il potergli parlare, l’avvicinarlo è stato per me molto importante, la grande differenza di età non era affatto un problema, mi sono sentita legata a lui con estremo rispetto ma anche con affetto, come una nipote fa con un nonno. La commozione, il turbamento, l’eccitazione era tale che tremavo tutta. Sentir raccontare dalla viva voce di un protagonista, uno degli ultimi protagonisti, è stato per me un privilegio. Ho potuto apprendere molto, informazioni che mi rimarranno impresse per tutta la vita grazie anche al trasporto con cui Piero Terracina ha saputo trasmettere la sua dolorosa esperienza; lo ringrazio in particolare soprattutto perché il ricordare lo fa star male ancora oggi.
Alessia Della Ciana: con grande piacere ho tenuto per anni i rapporti tra la mia scuola, l’Istituto Professionale per i Servizi Commerciali di Città della Pieve, e Piero Terracina, più volte sono stata a trovarlo a Roma; è per me un carissimo amico. È un enorme regalo, una grande emozione averlo potuto rivedere proprio nella mia città. Le sue parole, che conosco benissimo, hanno il potere di scuotere le coscienze.
Samuele Perugino: penso che ciò che ha raccontato il signor Terracina sia un modo per far riflettere tutta l’umanità.
Il suo racconto è quello della sua vita, carica di dolore e di angoscia per ciò che ha passato in quella terra oscura, piena di nemici della ragione e di assassini sterminatori di persone innocenti. Se dobbiamo costruire un futuro migliore, dobbiamo farlo grazie alle nostre diversità e non con esseri umani “perfetti”. L’amore e la ragione sono la chiave per impedire che certi terribili eventi si ripetano.