Il 20 dicembre gli studenti del “Calvino” di Città della Pieve ed in particolare quelli impegnati nel Presidio del Volontariato “Insieme si può”, con alcuni rappresentanti delle Associazioni Gruppo Ecologista “Il Riccio”, Donne “La Rosa”, A.L.I.Ce., hanno potuto incontrare, attraverso la testimonianza diretta e con l’aiuto di immagini, i popoli che hanno ricevuto in comodato d’uso 7 capre ed una mucca, rispettivamente i Wodaabe, nomadi del Niger, e i villaggi poverissimi di Basketo in Etiopia.
I Wodaabe, piccolo gruppo etnico di circa 45.000 persone, non esistono per il Niger, uno dei paesi più poveri del mondo. Il loro nome significa “gente del tabù” ed infatti non si sono mai mescolati con gli altri gruppi etnici, ciò ha permesso loro di mantenere l’originalità della cultura e la purezza delle tradizioni, le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Lottano per sopravvivere alla logica aggressiva che li circonda, da migliaia di anni attraversano l’area desertica del Sahel sempre alla ricerca di pascoli per il loro bestiame. La presenza di Ortoudo Bermo rappresentante dei Wodaabe nonché membro dell’Assemblea nazionale del Niger, accompagnato da Luigino Ciotti presidente del Circolo Culturale “primomaggio” che ha descritto il Progetto ABBANAI ed ha introdotto economia, usi e costumi di questo popolo, è stato sicuramente il “valore aggiunto”. Le sue parole, essenziale la traduzione della Professoressa del “Calvino” Paola Ceccarelli, hanno toccato i punti deboli da tenere in considerazione per comprendere i problemi del suo popolo: la fame insieme alla siccità ed al conseguente avanzamento del deserto, il terrorismo dei paesi limitrofi, la crisi politica della Libia, il problema della colonizzazione e dello sfruttamento selvaggio, la scolarizzazione. Quest’ultima ha avuto inizio solo nel 2001 grazie al contributo di Associazioni e Progetti esteri; Ortoudo stesso, quarantasettenne, si definisce analfabeta in quanto non ha potuto frequentare alcuna scuola.
Le nuove generazioni arrivano anche a frequentare il liceo, ma occorre spostarsi e i costi sono altissimi; nella capitale Niamey, c’è un’Università ma i prezzi sono proibitivi. Le distanze tra i villaggi e la capitale sono enormi se si considera che non ci sono mezzi di trasporto; tutto ciò che può sottrarre dall’isolamento è a centinaia di chilometri di distanza. Ricorda che sua madre di recente è dovuta andare in ospedale e per raggiungerlo ha impiegato quattro giorni. Afferma che occorre una politica di infrastrutture che purtroppo non c’è. Rispondendo alle domande dei presenti ricorda che importante per la sopravvivenza del suo popolo è il bestiame che trattano con grande rispetto in quanto è la loro vita, ma anche l’adozione a distanza, infatti sebbene siano un popolo nomade i bambini rimangono al villaggio, ma c’è bisogno di strutture, di mense, se queste non sono garantite i bambini in età scolare vengono impegnati nella pastorizia.
Fondamentale è la sopravvivenza di questo popolo in quanto il rischio di avanzamento della desertificazione è maggiore quando nessuno resta a presidiare il territorio, e quando non si riesce a sopravvivere si tende a spostarsi in città con conseguente perdita di identità e cultura.
Situazione ugualmente disastrosa è quella dell’Etiopia, con problematiche molto simili per isolamento e povertà. L’economia di Basketo si è sempre basata su un’agricoltura di sussistenza che non è mai riuscita a svilupparsi e rafforzarsi; in questa zona, a 578 km a sud di Addis Abeba, vivono circa centomila persone.
Al termine dell’incontro siamo sempre più convinti che il valore della solidarietà sia essenziale. Essere solidale significa sostenere qualcun altro, condividendone opinioni ed idee, ma è anche qualcosa di più profondo: un sentimento d’amore e di vicinanza che proviene dall’interno di ciascuno di noi. Aiutare chi è in difficoltà fa sentire migliori. Determinante è diffondere il valore della solidarietà poiché il mondo ne ha bisogno.